«Saturday Night Fever», ovvero come parlare di temi scomodi senza scomodare troppo il politicamente corretto. Ieri sera è andata in scena al Gran Teatro Morato la produzione de «La febbre del sabato sera» del Teatro Nuovo di Milano.

Pubblico eterogeneo, scenografia super filmica (con titoli di testa e di coda che fanno «effetto-cinema»), costumi sfavillanti e musiche che riportano agli anni Settanta newyorkesi senza spostarsi nel tempo e nello spazio: Tony Manero (interpretato da un bravo Francesco Italiani), Annette, Bobby, gli italoamericani e i portoricani sono saliti sul palco per parlare di sessismo, razzismo, violenza tra gang, droghe e suicidio, anche se con un pochino di leggerezza in più rispetto al film originale.

Il regista Claudio Insegno ha portato a Brescia le atmosfere più conosciute, quelle dell’omonimo film del 1977 di John Badham con John Travolta, e l’ha fatto bene (seppur con qualche problemino con i microfoni, subito risolto): lo si capisce dagli applausi del pubblico disseminati qua e là dall’inizio alla fine e lo si capisce dagli spettatori che non riescono a stare proprio fermissimi sulle poltroncine. Meno drammatico, ma più spettacolare. Meno crudo, ma più performativo. È questa la febbre del sabato sera del Teatro Nuovo di Milano.